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Se il tempo non avesse risposte

MAURIZIO SPACCAZOCCHI intervistato da Marco Ranaldi per DEApress

Quando diversi anni fa conobbi Maurizio Spaccazocchi capii che di fronte avevo una persona incredibile, di grande umanità e di forti competenze sia teoriche che pratiche. Spaccazocchi è alla base della dinamica didattica musicale del nostro paese. Rara voce non accademica della vita di conoscenze musicali legate alla sfera non solo infantile ma di tutte le età, Spaccazocchi è stato capace di tessere nuove tele su cui costruire il nostro futuro di ricerca e di competenza non solo musicale. In questa lunga intervista, che verrà presentata in due parti, molti punti toccati riguardano quello che oggi siamo come soggetti musicali. Non si può salire su un balcone e cantare l’Inno di Mameli senza sapere che cosa vuol dire questa azione. Le competenze pertanto sono fondamentali per creare dei simboli universali che non possono e non devono fermarsi all’intonazione da un balcone come se fosse l’ultima sigaretta prima di essere condannati. Pertanto è fondamentale ricercare in noi stessi la propria dimensione sonora attraverso le proprie esperienze e le proprie sensibilità.

Cosa fa la musica col corpo nel momento in cui viviamo situazioni così difficili come questa?

La musica può fare tantissime cose nei momenti critici della vita, ma soprattutto può far capire che in essa, come nella vita, c’è bellezza e bruttezza, amore e passione, piacere e dolore, perché nella musica è racchiusa tutta la sintesi delle esperienze umane.

Ma in questo momento il miglior uso della musica è ascoltarla a bassissimo volume, quasi silente, per invitare ogni ascoltatore a riprendere quell’ascolto attento che ha perso proprio nei momenti delle “vacche grasse”. In silenzio, nel mutismo più assoluto un frammento melodico, un ritmo, una pausa, un accordo saranno un piccolo esempio che la vita prosegue ancora, anche nel silenzio più totale della morte.

Si può sopravvivere all’idea che la pressione in cui siamo immersi ci fa vedere tutto come una canzone sul balcone o un esercizio di yoga?

I canti, le musiche, le frasi esternalizzate dai balconi sono manifestazioni di spettacolo sociale che mostra tutta la sua ambiguità. Certo il tutto appare come una spinta energetica verso la ripresa della vita, ma non dobbiamo nemmeno nascondere l’ambiguità presente in queste manifestazioni. Lo spettacolo della vita dovrebbe essere sempre presente come d’altronde se c’è la vita, ma questo non è chiaro a tutti, che c’è anche la morte. Il rispetto della vita non si esaurisce in una cantata dai balconi, ma dalla continua e quotidiana coscienza che la vita va rispettata ed esaltata sempre, non solo quando la morte bussa alla porta, anche perché alla porta di tutti noi busserà sempre. Certo la gente ha tutto il diritto di cantare al balcone ma, secondo me, sarebbe stato molto meglio vedere balconi colmi di persone a mostrare in completo silenzio il rispetto per la morte. Chi rispetta la morte rispetta la vita. Chi rispetta solo la vita, non la rispetta bene come dovrebbe.

Nella tua esperienza di didatta e anche e soprattutto di “usatore di musica” pensi che nel tempo quello che sta succedendo potrà cambiare la nostra predisposizione ad una forma di musica che possa coinvolgerci?

Io spero che da questa esperienza, intanto, ne usciremo tutti quanti più attenti al ridimensionamento del nostro quotidiano. E che anche la socialità delle pratiche musicali possa ulteriormente diffondersi in veri e propri atti di condivisione di un’esistenza emo-fono-musicale più giusta e sana, ma se questo atto di socializzazione del fare musica sarà ulteriormente vissuto come bisogno di spettacolarità, preferirei non vedere alcun aumento della socialità musicale. L’homo sapiens del terzo millennio è già troppo in scena, rischia ogni giorno il ridicolo, e se non riesce a capire che ogni esperienza musicale socializzante è prima di tutto un bene comune, un atto vitale primario, non migliorerà di molto la sua attuale vita in chiara forma di Show Must Go On.

Oltre alla tua professione tu hai sempre sostenuto una didattica contemporanea, molto avanti e sicuramente democratica, come vedi invece quello che succede nel nostro paese a proposito di musica insegnata?

Qualche passo positivo si intravede specialmente nel modo di vivere la musica al sud, ma ancora la musica come esperienza utile alla formazione di persone che, grazie ad essa, possono sviluppare cittadinanza vera, legalità, aperta democrazia interpretativa, valori etici che siano superiori a quelli estetici, ancora credo siamo molto lontani da ciò. La musica nel mondo è ancora una forte condotta troppo specifica, troppo “da musicista”. Le famiglie, i figli, sono ormai stati “rapiti” dalla sola figura del fare musica per essere riconosciuti da una società e una cultura che fa i suoi interessi economici e non certo quelli della gente comune. Finché non si farà il grande passaggio, ovvero quello che dalla prioritaria esaltazione della musica porti alla promozione delle musicalità umane, non si potrà mai esaltare ogni essere umano come essere musicale, come Homo musicus, e non come musicista asservito alla produzione musicale di comodo alla società. Senza poi trattare il tema-problema sociale dell’ab-uso stimolato dalle multinazionali, dalle nazioni e dagli stessi ministeri della cultura e dell’istruzione che sta “incastrando”, in forma audiovisiva, le orecchie e gli occhi delle nostre nuove generazioni e non solo. L’ascolto attento ed emotivo, lo sguardo e il riguardo verso le persone che abbiamo davanti a noi si è ridotto a una veloce e distaccata mossa del capo, così tanto per non negare almeno un minimo di presenza-assenza.

Mi parli del rapporto fra pelle e suoni?

Vedi, involontariamente, mi fai ritornare nel tema conduttore dei miei principi antropologico-musicali. Tu sai benissimo che, molti anni fa, ho pubblicato per l’editrice Franco Angeli La musica e la pelle, e se ho scritto quel libro l’ho fatto per ribadire la grande relazione presente fra gli uomini e le loro ricche e diverse musicalità. Era il primo passo per far capire al mondo ufficiale della musica che esistono altre strade dell’esperienza musicale umana. Strade che sono state completamente occultate dagli studi musicali colti. La mia strada si è poi ampliata in questa direzione antropologico-musicale. Ho pubblicato, oltre ai tanti sussidi musicali, Musica umana esperienza, Musica educativa, Suoni vissuti e suoni narrati, Suoni in Testa, 50 storie musicali educativo-terapeutiche, Essere musicalmente vitali, etc., come conferma che bisogna fare di tutto per far sì che debba essere l’uomo comune a riappropriarsi delle sue musicalità, del suo slancio vitale in musica, come direbbe Daniel Stern.    

Cosa può fare il suono nel migliorare la vita?

Credo che la grande dote delle musicalità umane consista nella possibilità di regolare al meglio, nella persona, il suo equilibrio omeostatico. Quando una persona si sente “mancante” di qualcosa, è segno che la sua condizione omeostatica non è in equilibrio. La musicalità ha questa forza: riequilibrare uno stato d’animo incerto. Quello che ti sto dicendo te lo posso far dire dal neuroscienziato Antonio Damasio (Lo strano ordine delle cose, ed. Adelphi, Milano 2018) con una frase che ti riferisco a memoria:

La musica fu portatrice di effetti omeostatici a più livelli già in epoca remota e probabilmente con notevole frequenza: dapprima suscitando sentimenti e infine facendo nascere idee. L’universalità della musica e la sua notevole persistenza sembrano derivare da questa misteriosa capacità di mescolarsi con ogni umore e circostanza, ovunque nel mondo, in amore o in guerra, coinvolgendo singoli individui, gruppi piccoli o grandi, coesi per incanto dal potere della musica.

Come vedi questa è anche una risposta efficace per giustificare il bisogno di musica in certi momenti di disequilibrio omeostatico che il mondo sta passando. Ma debbo ribadire, per non contraddire i miei principi, che Damasio quando parla di epoca remota intende parlare di una universalità che non è data dalle manifestazioni musicali di ogni cultura, ma dal profondo bisogno umano di risolvere le loro condizioni di vita attraverso le loro specifiche musicalità.

Musicalità oggi, come ho già affermato più volte, sono ben poco valorizzate perché denigrate dalla cultura musicale ufficiale.

A che punto è la didattica in Italia? Cosa pensi di tutte queste proliferazioni di linguaggi didattici relativi alla musica che imperversano nel nostro paese?

A queste due domande posso risponderti univocamente: Fin quando gli insegnamenti musicali non sapranno valorizzare le musicalità individuali, non possiamo parlare di democrazia educativo-formativa. Sta pur sempre prevalendo una mentalità musicale “razzista”: La musica vera è quella che fanno i musicisti veri. Questa affermazione, ben poco pronunciata ma ben molto praticata, è come se negasse il diritto alla vita delle musicalità comuni a tutta la specie umana.

E i bambini ai tempi dello smart come interagiscono con la musica?

Hanno trovato, un buon “trastullo” che più di altri, li sta imprigionando nella mentalità musicale negativa che sto criticando. Nota bene però che qui il problema non è dato dalla cultura digitale-musicale, ma dagli usi che essa offre alla nuove generazioni. Infatti non ho nulla in contrario a pensare al digitale come ottimo mezzo per valorizzare le quotidiane musicalità comuni a tutti gli esseri umani. Il problema quindi non è il mezzo in quanto tale ma gli usi e gli ab-usi che quasi sempre vengono indotti, illudendo ad artefici, di un antico atto di magia, i nostri “cuccioli” digitali.  

Quale è la tua percezione quando entri in un ambiente in cui darai vita ad uno dei tuoi seminari?

Intanto è il timore di dover far male a quanti sono stati “segnati” da questa incombente cultura musicale. Poi, a poco a poco, quando comprendono che loro e i loro cari possono dar vita a esternalizzazioni di musicalità vive, reali, personalizzate, iniziano a sorridere e liberare le loro primigenie condotte musicali.

I cosiddetti giovani sentono forte l’importanza di una didattica musicale?

Non credo che loro possano sentire l’importanza di una didattica musicale, anche perchél’idea tradizionale della musica, per loro, è cosa da non incontrare mai.

Come puoi ben comprendere, è molto difficile far capire, a chi è stato “de-formato”, che ha bisogno di “ri-formarsi” in altro modo, anche se questo modo è più idoneo alla sua esistenza. E questa grave “de-formazione” l’ha procura la cultura ufficiale, la scuola e la società, sulla base di “metri” che ben poco hanno preso in considerazione la persona come entità vitale, perché ciò che serve alle istituzioni è il soggetto socializzato, più possibile e prima possibile.

Ognuno di noi è quello che ha ricevuto e, quindi, sarà molto difficile invitare ogni persona a recuperare se stessa, poiché crede che se stessa è già quello che è adesso..

E i conservatori, dove tu hai insegnato, secondo te sono rimasti al palo delle moderne didattiche?

Vedi siamo sempre sullo stesso tema: anche una moderna didattica può essere una errata didattica, finché non comprende che davanti a sé ha un essere umano e non un soggetto da istruire secondo la sua metodologia più o meno “lontana” dall’uomo e dalla vita.

Non ho alcun problema a dire che tutte le metodologie vecchie o moderne, metodologie italiane, europee, mondiali, fin quando resteranno all’interno del loro gioco teorico-prassico, analogico o digitale, non possono assolutamente essere utili alla comunità dei viventi, poiché questi non possono essere programmati su modelli operativi precedentemente confezionati sulle regole scientifiche di quello che viene definito con la parola Metodo.

Un’altra considerazione la debbo assolutamente fare, ed è questa: Non ho nulla in contrario sulle scelte personali che ognuno di noi può fare nella vita, trasgredendo o rispettando la sua natura musicale primaria. Ma credo che debba essere ben chiaro questo principio: se più di un secolo fa il magnifico violinista Niccolò Paganini avesse preteso che tutte le educazioni musicali del mondo seguissero la sua identica metodologia d’apprendimento del violino, sarebbe stato altrettanto disumano quanto oggi lo sarebbe il grande velocista Usain Bolt, se pretendesse che ogni giovane sportivo debba allenarsi come lui ha fatto. Non si può confondere il faticoso lavoro de-formante fatto da un grande concertista con una educazione socializzante alla musica. Se esiste il diritto di essere grandi artisti non può negarsi, in uno stato democratico, il diritto di tutti di cantare, di suonare, di ascoltare, di danzare, di interpretare, di comunicare attraverso tutte le dotazioni primarie dell’Homo Musicus inteso come homo movens, audiens, loquens, cantans, sonans, videns e sapiens. Tutti questi homosono chiari indirizzi di umana musicalità, che ogni persona può e deve sviluppare in rapporto ai suoi bisogni vitali, in rapporto al suo diritto di essere entità emo-fono-musicale; quindi al di fuori di metodologie statiche, e quindi dentro a relazioni di umane e aperte musicalità.

Mi racconti il tuo progetto editoriale con la Progetti sonori?

Forse, e l’avrai già capito, con l’editrice Progetti Sonori ho avuto ed ho ancora un rapporto stretto sulla base delle mie, come direbbe Jerome Bruner, credenze musicali giustificate. Le mie proposte editoriali come quelle della Progetti Sonori si avvalgono di questa forte credenza giustificata (bada ben non ho usato la parola metodologia). E così si va avanti, come ad esempio in questi giorni, che ho pubblicato con questa nota editrice Musica e gioco spontaneo nella scuola d’infanzia mirato a sviluppare le musicalità spontanee nei più piccoli, ma anche per far entrare gli educatori di base a modalità educativo-formative rispettare delle loro doti musicali naturali; e fra poco uscirà un altro lavoro dal titolo Educazioni Narranti mirato a rivalorizzare l’atto della narrazione in tutte le discipline, compresa naturalmente la musica. Una pubblicazione nata per merito del lavoro che svolgo con l’amico Andrea Iovino presidente della Bimed, ovvero la Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo di Pellezzano-Salerno.

Cosa è cambiato dai tempi del Dizionario dell’educatore musicale?

È certamente cambiato molto dal momento che molti anni sono trascorsi, ma debbo dire la verità, anche lì era già presente un primo tentativo di trattare le voci musicali del dizionario in forma molto più umana. Tanto è vero che quando lo proposi alla Ricordi che poi lo pubblicò, ebbi un grande dubbio dopo aver ricevuto la telefonata del noto musicologo Riccardo Allorto che mi fece una lunga serie di complimenti. E io, tra me e me, pensai: Ma se questo mio testo è osannato da questo grande colto e tradizionale studioso di musica, sta a vedere che ho sbagliato a scriverlo!  

C’è speranza che l’Italia si ritrovi un giorno a pensare che la crescita educativa parte dal basso e dal rapporto con i suoni?

Come ti ho già confermato in queste mie risposte, la crescita educativa che tu indichi con l’espressione dal basso, certo che può ampliarsi, certo che può arricchirsi… ma solo se d’ora in poi tutte le istituzioni e tutti i centri educativi in musica avranno il coraggio e la forza di definirla come la più vera, più alta e democratica educazione con e alla musica per l’uomo.

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