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È giusto affrontare il tema della guerra a scuola? E come affrontarlo?

In questi giorni drammatici, genitori e insegnanti si chiedono se sia giusto o meno parlare ai bambini di quello che sta succedendo in Ucraina. C’è chi vorrebbe proteggerli, tenendoli all’oscuro da un qualcosa che – ad oggi – non li riguarda direttamente, e chi al contrario sostiene che si debbano coinvolgere ed educare alla verità fin da piccoli, a costo di dover poi affrontare (insieme) emozioni complesse quali la paura e l’angoscia.

La questione non è affatto semplice e può trovare risposte diverse a seconda dell’età dei bambini.

Proviamo allora ad attingere a dichiarazioni di studiosi, psicologi e scrittori per l’infanzia che hanno trattato questo tema.

Walter Fochesato, fra i maggiori studiosi italiani di letteratura per l’infanzia e di storia dell’illustrazione (da Raccontare la guerra, Interlinea, Novara, 2011):

Penso che sia giusto e necessario parlare di guerra ai bambini, anche perché, oggi più che mai, soprattutto nel nostro paese, si va sempre più perdendo la memoria storica. E memoria storica significa anche capacità di pensare al futuro, di progettarlo. Detto ciò credo che la strada migliore sia quella della narrazione, del racconto. Stando attenti ad ogni discorso di carattere ideologico-moralistico, puntando invece sul fascino e la qualità della pagina, sul piacere della lettura.

Vincenzo Spadafora, garante per l’infanzia e l’adolescenza dal 2011 al 2016:

È importante parlarne, non nascondere le notizie, perché parlare, confrontarsi, ascoltare i ragazzi è indispensabile soprattutto quando accade un episodio traumatico. L’orrore che arriva nelle nostre case da tutti i TG va affrontato, spiegato senza pregiudizi ai nostri figli. Insieme all’orrore arriva la paura, umana ma pericolosa. La tentazione di irrigidirsi e giudicare c’è, è naturale ma va combattuta. Spiegare la guerra ai bambini è arduo compito, ma va fatto per non bloccarsi in paure inconsce o consce. Occorre lavorare contro il contagio dell’intolleranza, proprio sui bambini perché abbiano consapevolezza, spirito critico ed esercizio ad accettare l’altrui diversità.

Filomena Albano, garante per l’infanzia e l’adolescenza da aprile 2016, a proposito degli attentati di Parigi dice:

I fatti del 7 gennaio 2015 (attentato contro la redazione del settimanale Charlie Hebdo) pongono sul tavolo degli adulti anche la questione di come spiegare quanto accaduto, sapendo che le parole pesano. In molte scuole, maestri e insegnanti hanno affrontato gli orrori francesi di questi giorni. Hanno cercato di spiegare cosa è successo il 7 gennaio e i giorni a seguire, e perché domenica a Parigi molti leader del mondo hanno voluto sfilare insieme, in una marcia simbolica, e due milioni di francesi si sono dati appuntamento nella capitale e hanno riempito strade e piazze per dire «no» alla paura, in nome della pace e della tolleranza. Bene hanno fatto quegli insegnanti (e i genitori e i nonni…) a non nascondere la notizia perché parlare, confrontarsi, ascoltare i ragazzi è indispensabile soprattutto quando accade un episodio traumatico, scioccante. Senza contare che le nostre scuole sono sempre più multietniche, e i fatti di Parigi mettono a dura prova la volontà di integrazione, inutile negarlo. Quindi bisogna lavorare di più in tal senso, e dare l’esempio, che è il miglior discorso possibile. Meglio ragionare insieme ai ragazzi e ai loro famigliari, come hanno fatto ad esempio in una scuola di Milano, che raccoglie 56 etnie diverse e una folta comunità musulmana.

Elisabetta Rossini, pedagogista e autrice insieme a Elena Urso del libro I bambini devono fare i bambini (BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2016):

Bisognerebbe tenere i bambini lontani da immagini o discorsi di guerra almeno fino agli 8 anni. Ma non è facile. Loro ascoltano e percepiscono tutto, anche la nostra paura o preoccupazione. Dobbiamo parlare con i bambini, con calma, senza ricoprirli di troppe informazioni. Dire poche frasi e dare il tempo al bambino di pensare e porre delle domande. Mentire dicendo “sono cose da grandi” non ha senso perché tutto può essere spiegato ai bambini con le dovute precauzioni e le dovute parole. Ad esempio, si può cercare di utilizzare delle analogie con quello che i bambini capiscono. In età prescolare possono capire la rabbia, il litigio. Per parlare della guerra possiamo dire, per esempio, che purtroppo ci sono adulti che non riescono a trovare una soluzione e arrivano a questo. È fondamentale però inserire sempre un messaggio di speranza. In questo caso potrebbe essere che altrettanti adulti si stanno impegnando per trovare una soluzione e riportare la pace.

Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore presso il dipartimento di Scienze Bio-Mediche dell’Università degli Studi di Milano, così si rivolge a un ipotetico bambino dopo la strage di Nizza (dal settimanale Famiglia Cristiana):

No, io non posso assicurarti che a noi non succederà mai, che la nostra vita resterà indenne da tutto questo. Possiamo cercare una stella, lassù nel cielo, e immaginarci che le anime di tutte le persone che hanno perso la vita per una strage così violenta e ingiusta ora sono là, dentro quella luce, a guardare il mondo dall’alto. Su quella stella a parlare con chi è morto c’è anche chi quella morte ha provocato. E lì, mentre sono tutti in cerchio, a quelle persone che hanno seminato morte, un papà ora mostra dal cielo il viso di suo figlio che piange sulla terra perché è rimasto solo e ha paura. Chi ha causato quelle lacrime e tutto quel dolore improvvisamente capirà la follia del suo gesto. E lassù sulla sua stella, ne proverà un rimorso così profondo da non riuscire a fare altro… Quando domani tornerai a scuola e nella tua classe troverai Amina, Abdul, Abed e Asif, continua a cercare nei loro volti lo sguardo e il sorriso di un potenziale fratello e nei loro corpi la voglia di giocare di un amico a cui tirare la palla… Se c’è una cosa che la vita mi ha insegnato è che chi è amato, impara ad amare. Mentre chi è odiato, impara ad odiare. E allora, anche se qualcuno ti verrà a dire che adesso c’è bisogno di vendetta, perché nessuno ha il diritto di farci provare così tanto terrore e paura, tu non crederci. Perché nel bisogno di vendetta si nasconde l’odio. E l’odio non porterà mai alla pace. Abbraccia Amina, Abdul, Abed, Asif. Porta un pallone a scuola e andate tutti insieme in cortile a giocare. Fagli assaggiare la tua merenda e di’ che vuoi assaggiare la loro. Ecco, figlio mio, non ti posso dare la certezza che a te e a me non succederà mai qualcosa di brutto. Ma ti posso assicurare che io e te insieme possiamo rendere questo mondo migliore. Con le nostre parole, i nostri gesti, i nostri sguardi. E la nostra voglia di pace.

Federico Bianchi di Castelbianco, psicologo e psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia:

Quando un bambino fa una domanda diretta su un argomento delicato come la guerra, l’adulto ha il dovere di spiegargli cosa sta succedendo. Bisogna capire che i bambini percepiscono quello che accade intorno a loro ed evitare di rispondergli può innescare l’insorgere di ansie. Il bambino, così come l’adulto, ha bisogno di condividere emozioni e riflessioni per non sentirsi solo, ma allo stesso tempo vuole sentirsi sicuro e protetto in un “gruppo”. Da adulti raggiungiamo la consapevolezza che un individuo nasce né buono né cattivo, ma saranno i suoi comportamenti ad essere giudicati tali. Per i bambini questa distinzione non è sempre chiara. Per far capire ai più piccoli cosa sta succedendo, ad esempio, in Siria bisogna utilizzare un modo di parlare che loro possano comprendere. Spiegare, ad esempio, che esistono persone ‘cattive’, ma che ci sono anche i ‘buoni’ che ci difendono. È importante anche lasciarli esternare, anche tramite disegni, temini, poesie, e qualsiasi altro modo che consenta loro di esprimere le emozioni. La scuola deve essere un punto fermo della loro consapevolezza, perché gli insegnanti sono le figure di riferimento che danno sicurezza, e possono aiutarli parlandone, lasciandogli scambiare opinioni in classe con i compagni. In questo modo il bambino non si sentirà solo…

Dunque, gli studiosi sono tutti concordi nel considerare giusto, anzi doveroso, parlare ai bambini di guerra, di violenza, di eventi traumatici, soprattutto quando è il bambino stesso che lo esige, facendo domande, mostrando paure, chiudendosi in se stesso. Altrimenti, il bambino rimarrebbe preda di tutto l’arsenale comunicativo che lo circonda: telegiornali, film, internet, canali che nella maggior parte dei casi invece di informare spettacolarizzano, enfatizzano senza un minimo filtro protettivo nei confronti di chi ancora non ha i mezzi per capire fino in fondo le ragioni di ciò che sta succedendo. Tutto ciò genera o alimenta la paura e i bambini non vogliono avere paura, non devono avere paura. I bambini devono essere confortati, protetti, rassicurati. Devono sapere che anche se esistono persone che fanno del male, ce ne sono molte di più che lottano per combattere il male.

Naturalmente tutti gli esperti suggeriscono cautela e soprattutto esortano i docenti ad utilizzare un linguaggio adeguato e privo di qualsiasi riferimento ideologico o moralistico. Un buon modo per iniziare è quello di ascoltare le domande dei bambini, capire i loro dubbi e soprattutto le loro paure. Questo ci aiuterà ad orientare il dialogo verso ciò che per loro è davvero importante conoscere.

Innanzitutto, bisognerebbe capire che cosa sanno sull’argomento, quale idea si sono fatti su un determinato tema e conseguentemente procedere analizzando insieme la situazione, impostando una discussione appropriata alla loro età, pur senza minimizzare. La sola raffigurazione mediatica di un evento, senza una mediazione che riequilibri l’informazione, può creare nei bambini un immaginario distorto che alimenta il pregiudizio nei confronti di un popolo, di una razza, di seguaci di una certa religione, di un qualsiasi gruppo sociale.

Per parlare di un tema così delicato può essere di grande aiuto partire da un racconto, da una storia pensata e creata per i bambini. Oppure si può partire da una testimonianza scritta o raccontata da chi, suo malgrado, è stato protagonista di una tragedia.

Oggi è facile reperire lettere, racconti, disegni di bambini che vivono o hanno vissuto gli orrori di una guerra. Le storie personali hanno sempre un grande impatto sia sugli adulti sia sui bambini e possono servire a comprendere meglio un determinato punto di vista, sfruttando l’empatia e l’immedesimazione. La narrazione autobiografica può essere molto utile non solo per capire le condizioni dei bambini in guerra, la loro sofferenza, i loro disagi, ma anche per conoscere i loro sogni, le loro aspirazioni.

Ecco alcune letture che possono aiutare ad affrontare l’argomento:

  • Elzbieta, Flon-Flon e Musetta, AER, Bolzano, 2004
  • M. Pas Bagdadi, Mi hanno ucciso le fiabe, Franco Angeli, 2004
  • J. Billet, C. Fauvel, La guerra di Catherine, Ed. Mondadori, Milano, 2018
  • N. Davies, Il giorno che venne la guerra, Ed. Nord Sud, Assago (MI), 2018
  • C. Dubois, Akim corre, Ed. Babalibri, Milano, 2014
  • J. Elvgren, F. Santomauro, La città che sussurrò, Ed. Giuntina, Firenze, 2015
  • S. Gallo, F. Aziz, Vedo un mondo di colori, EGA-Ed. Gruppo Abele, Torino, 2016
  • M. Girardi, R. Lombardi, L’argine, Ed. Becco Giallo, Padova, 2016
  • L. Levi, Una valle piena di stelle, Mondadori, Milano, 2010
  • L. Levi, Cecilia va alla guerra, Mursia Scuola, Milano, 2009
  • M. Lodi, Favole di pace, Ed. La Meridiana, Molfetta (BA), 2005
  • S. R. Mignone, D. Pintor, La piccola Grande guerra, Ed. Lapis, Roma, 2015
  • P. Soriga, I. Terranera, La guerra di Martina, Ed. Laterza, Bari, 2016
  • L. Spilsbury, H. Kai, Bambini nel mondo – i conflitti globali, Ed. EDT Giralangolo, Torino, 2018
  • P. Van Hest, Immagina… la guerra, Clavis Editore, Cornaredo (MI), 2017

Infine, per chi preferisse affrontare questi temi attraverso un percorso musicale, storico e culturale, segnaliamo la nostra pubblicazione Gran Concerto per la Pace (di L. Perini): le più grandi tragedie dell’epoca moderna vengono ripercorse tra canti, poesie e racconti che rivelano il punto di vista di chi ha subito o vissuto il dramma di un conflitto, della violenza, della segregazione. Un libro nato per contribuire a creare una coscienza etica nelle nuove generazioni, promuovendo il recupero di valori umani e di ideali di pace e fratellanza tra i popoli.

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