Pubblicato il Lascia un commento

Esiste la musica per bambini?

L’articolo ripropone alcune considerazioni tratte dall’Introduzione al volume In un granello di sabbia di Enrico Strobino.

Cosa significa fare (pensare, comporre, costruire) musica per bambini? O, per dirla in altra forma, esiste la musica per bambini?

Molti sostengono di no, che ai bambini si può far ascoltare tutto se si è capaci di preparare un ascolto consapevole, progettando e guidando percorsi che sanno rendere appropriabili a quel mondo le musiche dei grandi. Sicuramente è vero, molta musica dei grandi può essere proposta anche ai piccoli, se chi la propone conosce il mondo di bambine e bambini. Ma la domanda resta e già Gianni Rodari se l’era posta nel saggio I bambini e la poesia, pubblicato sul Giornale dei genitori, nn. 6-7, Giugno-Luglio 1972:

«Alla domanda se esista una poesia per bambini si potrebbe rispondere subito di no, che non può esistere una poesia per bambini più che non esista una poesia per avvocati, o per maestri di scuola, o per vigili notturni. La poesia esiste autonomamente, a prescindere da chi si trova ad essere il destinatario del suo linguaggio; o non esiste. Ci sono poesie che possono essere capite, sentite, diciamo pure vissute dai bambini, indipendentemente dal fatto che siano state create per loro oppure no. E ce ne sono altre, troppo lontane dal loro campo di esperienza, troppo dissonanti con le loro strutture mentali o con il loro mondo sentimentale, troppo discordi con il loro vocabolario perché essi possano in qualche modo goderne. Ma non esiste quella cosa che possa essere poesia per i bambini e non-poesia per gli adulti¹».

Questo passo può benissimo essere letto sostituendo la parola “poesia” con la parola “musica”, mantenendo tutta la sua condivisibilità.

Ma andando avanti nella lettura del saggio è lo stesso Rodari ad articolare maggiormente il pensiero. Se non si pensasse ad una letteratura (o musica) per bambini, allora significherebbe che tutti gli oggetti culturali arriverebbero a loro solo per “caduta” dal mondo degli adulti, mentre nulla germinerebbe dal loro mondo, dal loro terreno specifico, facendo magari il percorso contrario, andando a visitare poi anche i paesaggi degli adulti. Il bambino continuerebbe ad essere visto come un’appendice della società adulta, senza essere considerato per le sue specificità, i suoi bisogni, le sue domande, i suoi desideri, i suoi piaceri.

Ecco allora affacciarsi qualche dubbio rispetto alla risposta data all’inizio. Forse possiamo riflettere meglio, possiamo provare a cercare una sguardo più fine, ad esempio partendo dai repertori che la cultura orale ha dedicato al mondo infantile: ninne nanne, filastrocche, conte, giochi cantati, preghiere, scioglilingua e così via. Scrive Rodari:

«La madre che canta la ninna nanna e il bimbo che si addormenta ascoltandola vivono una situazione reale, di cui le parole e la musica sono l’espressione poetica. Vita e poesia sono la stessa cosa nella voce che canta e fornisce insieme la sostanza dell’espressione e la sua forma, il contenuto e le sue forme. Nella ninna nanna le parole tendono a scomparire, a diventare un sottovoce, un canto a bocca chiusa. Tende insomma a prevalere la musica, di cui sarebbe sbagliato vedere solo la funzione rassicurante, consolatoria, il rifornimento di protezione e tranquillità di cui è la fonte. Il bambino vive pienamente quel momento che è anche formativo della sua mente e della sua sensibilità. La voce che canta, come ogni altro segno, indizio o sintomo del mondo che lo circonda, è una guida alla scoperta della realtà e delle sue forme».

Nelle filastrocche invece si incontrerà la prima esperienza del ritmo, nel gioco delle rime fra la monotonia della pulsazione e la varietà ritmica e timbrica data dalle sillabe, come in questa filastrocca pugliese, riportata dallo stesso Rodari:

Pizzi pizzi strangulizzi / La Maria facia lu pane / Tutte le mosche lu spurcane / Lu sporcane a quattro a quattro / Lu fischietto m’ha rutto lu pattu.

È il linguaggio goduto in sé, è il parlare per parlare, è la funzione poetica, per godere di giochi di parole e dei loro suoni, lasciandosene incantare e trascinare. Allo stesso modo il bambino fatto saltare sulle ginocchia vive l’esperienza della ripetizione e del galoppo, fino al momento finale: un movimento improvviso finge la caduta, in concomitanza con un’impennata della voce e, quindi, l’esperienza del mancamento e della paura, subito recuperata dall’abbraccio del padre e risolta nel riso di entrambi. Oppure impara il nome delle dita, con i piccoli canti contenuti in una mano. E per finire il rito della conta, sequenze utili a stabilire chi sta sotto, ad assegnare ruoli, a stabilire regole del gioco: Enkete pendete puffetiné, abili fateli, domniné.

Le culture popolari pensavano ai bambini e alle bambine, proponendo oggetti culturali a loro misura, rispondendo ad esigenze pedagogiche, dando forma a piccoli giocattoli sonori che potessero essere presi e usati, magari smontati e rimontati.

Ecco, allora è questa la funzione della musica per i bambini: quella di far giocare con i suoni e nello stesso tempo, perché no, anche far pensare, magari per dire loro delle cose che in altro modo non ascolterebbero, per dare loro immagini stimolanti, per nutrire e formare la loro immaginazione. In questo, certo, Rodari è maestro.

Rivolgersi a bambini e bambine con parole e canto è ancora utile?

Credo di sì, anzi, penso che sia sempre più necessario in un mondo in cui gli oggetti, gli sguardi e i valori dei grandi vanno a colonizzare il mondo dei piccoli. Sarebbe così bello che avvenisse anche il contrario! Scrivere canzoni per bambini, pensando che sia importante tendere verso una canzone d’autore “piccola”, accanto a quella “grande”, cercando di trovare qualità di suoni e parole, cercando una loro relazione interessante, non banale o ovvia o bambinesca, impoverita di bellezza.

Penso che la forma canzone costituisca una linea di confine fondamentale per l’educazione musicale: su quella linea si gioca l’incontro fra musiche familiari e non familiari.

Certo, canzoni come queste sono lontane dai paesaggi che quotidianamente popolano l’ascolto di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, come anche lo sono i canti della tradizione popolare. Forse proprio per questo credo che si possano proporre, senza fare confronti di alcun tipo, semplicemente per testimoniare un rapporto con il mondo della canzone diverso, sia nella musica che nelle parole. A quel punto ovviamente poi ognuno “se la gioca”: ogni canzone, in fondo, è una domanda e rimane interessante accogliere qualsiasi risposta provenga da parte di chi la riceve.

¹ Il saggio si può leggere in: Il cane di Magonza (a cura di Carmine De Luca), Editori Riuniti, Roma, 1982, pp. 156-176; e in: Scuola di fantasia (a cura di Carmine De Luca), Editori Riuniti, Roma, pp. 149-174.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.